Dott.sse Monica Leva e Maria Assunta Natali
All’incirca un secolo fa, Durkheim scriveva che non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore per tutti: la famiglia come lui la vedeva già allora, non era né più né meno perfetta di quella di una volta. Era diversa, semplicemente perché diverse erano le circostanze. Queste affermazioni appaiono oggi decisamente indiscutibili, in una realtà, come la nostra, in cui la famiglia cambia e continuerà a modificarsi nel tempo sempre più, probabilmente sulla scia di un orientamento già affermato in altri contesti di tipo occidentale.
E’ tangibile, oggi, un allontanamento dalla tradizione verso nuove soluzioni già da tempo adottate, ad esempio, nei Paesi Anglosassoni, in Scandinavia e negli USA; espressione di un sempre più ampio pluralismo culturale. Quale è la condizione necessaria per l’esistenza della famiglia? Ci sembra essere questo il quesito fondamentale che ruota intorno alla tematica della genitorialità omosessuale, con tutto il suo bagaglio di comprensibili dubbi riguardo alle implicazioni nella vita emotiva, affettiva, psicologica, sessuale e sociale di un bambino.
Un’ ipotesi significativa, che iniziali ricerche già rendono attendibile, quella che l’omosessualità non interferisca nello sviluppo dell’identità di genere e nella scelta sessuale. Restano comunque, perlomeno nel nostro Paese, numerosi i pareri a favore di un confronto dominato, giocoforza, dalla preoccupazione di fornire dati rassicuranti circa l’inesistenza di differenze tra i figli di famiglie eterosessuali e omosessuali. Riformulare, dunque, non l’idea di “famiglia allargata”, ma allargare il concetto di famiglia. «L’orientamento sessuale dei genitori non incide sullo sviluppo del bambino” — spiega al Corriere della Sera Fulvio Scaparro, psicoterapeuta, specializzato sui temi dell’infanzia e della famiglia — “il quale, soprattutto nei primi anni di vita, necessita di affetto, presenza costante, attendibilità, armonia dei genitori e capacità di guida. Una famiglia omosessuale, dunque, è, potenzialmente in grado di far crescere un bambino al meglio”.
Monica Bonaccorso, ricercatrice e giornalista, nel suo saggio Mamme e papà omosessuali, abbandona qualsiasi atteggiamento pregiudiziale partendo dal mondo interiore del bambino, dallo sviluppo della sua identità e dei suoi bisogni, per arrivare ai genitori, alla famiglia e, quindi, alla società, valutando favorevolmente anche l’interscambiabilità e sostituibilità delle figure materna e paterna.
Ampio testo che analizza le forme di famiglia omogenitoriale (sole madri e soli padri) è quello di Luca Trappolin, dottore di ricerca in Sociologia presso l’Università degli studi di Padova, il quale rimarca come, oggi, in Italia, si “induca a dare per scontata l’identità eterosessuale dei genitori”.
Particolarmente degno di nota il contributo di Chiara Lalli, docente di epistemologia delle Scienze Umane presso l’Università degli Studi di Cassino con il suo saggio Buoni Genitori: storie di mamme e papà gay. Considerevole spazio viene riservato alla condanna di infruttuosi luoghi comuni: essere genitori a tutti i costi è un desiderio legittimo o eccessivo?. Siamo in grado di trovare ragioni importanti e fondate per decidere che i bambini nati da genitori omosessuali subiscano intrinsecamente dei danni?
Lo stigma sociale ha spesso la meglio sul buon senso e sul ragionamento. Secondo Lalli, si può esprimere un dubbio, ma ignorare tutte le ricerche, numerosissime, non è corretto. A supporto di ciò si rivela significativo il lavoro di Margherita Bottino e Daniela Danna, rispettivamente collaboratrice e ricercatrice di Psicologia della Salute presso l’Università degli Studi di Milano, che nel loro testo La gaia famiglia. Che cos’è l’omogenitorialità?, riportano dati statisticamente rappresentativi che evidenziano importanti conclusioni. Le autrici hanno suddiviso numerosi studi internazionali in due periodi: dal 1981 al 1998 e dal 1999 al 2004. In entrambi, hanno riportato l’inesistenza di differenze “preoccupanti” per ciò che concerne il benessere psicofisico o le funzioni cognitive dei soggetti. Ciò contro cui devono battersi i bambini che crescono e vivono in famiglie omoparentali, risulta essere, purtroppo, la disapprovazione sociale. La discriminazione e l’atteggiamento omofobo possono essere considerati i soli motivi per cui l’orientamento sessuale dei genitori può avere influenza sui figli. Per gli individui intervistati il disagio è rappresentato dagli atteggiamenti che il contesto socio-culturale può ostentare nei confronti di tale preferenza. Le difficoltà familiari riportate nello studio sono semmai connesse all’eventuale separazione dei genitori e all’integrazione dei nuovi partner nelle proprie vite, così come accade, peraltro, anche ai figli di famiglie eterosessuali che vivono un divorzio.
Una delle obiezioni più frequentemente mosse alle numerosissime indagini è relativa alla loro provenienza, in quanto trattasi, per la maggior parte, di studi anglosassoni. Per richiamare Chiara Lalli: “le diversità culturali esistono ma sono abbastanza forti da permetterci di escluderle?”. Il rischio è quello di non esprimere pareri, bensì pregiudizi.
I meccanismi familiari descritti nella letteratura americana sono utilizzati ad ampio raggio in ambito psicologico e la grande mole di testi, tradotta in italiano, non proviene forse da oltreoceano? Sulla genitorialità ci sono ancora moltissimi retaggi del passato da rimuovere. La stessa idea di famiglia classica che considerava la madre come figura più idonea all’accudimento dei figli, non è forse stata messa in discussione dalle più recenti teorizzazioni sull’attaccamento infantile? Sono occorsi decenni perché la giurisprudenza si orientasse verso l’affido condiviso, rivalutando, di fatto, la figura paterna e la bigenitorialità. Anche l’ idea che una madre e un padre biologici non siano intrinsecamente dei buoni genitori ha dovuto combattere a lungo prima di farsi strada ed essere socialmente accettata. Oggi sappiamo che nessun modello familiare garantisce, a priori, la buona riuscita di una relazione ed è ormai largamente condiviso che sia il legame di accudimento reale quello che contribuisce alla sana crescita di un individuo. D’altronde, privilegiare una “famiglia tipo”, non porterebbe a privare di affidabilità anche nuclei monogenitoriali o formati da soli nonni, zii etc.?
Come ben sappiamo, non sono certo i modelli familiari cosiddetti “normali” a preservare tout-court da abusi e violenze. Al di là degli schemi ci sono sempre e comunque le persone. Forse, non e’ tanto la possibilità’ che un uomo o una donna omosessuali possano allevare bambini sereni più o meno di quanto siano in grado di farlo genitori eterosessuali a preoccupare chi scrive, ma che la società, la scuola, i mass media, ecc. possano essere sensibilizzati e stimolati a una cultura della diversità. Tentare di raggiungere con strategie appropriate questo obiettivo è sicuramente un’opera di prevenzione sociale a salvaguardia della salute mentale.
Bibliografia
Lalli C. Buoni genitori. Storie di mamme e papà gay , Milano, Il Saggiatore, 2009
Bottino M. Danna D. La gaia famiglia. Che cos’è l’omogenitorialità, Trieste, Asterios, 2005
Durkheim E. Per una sociologia della famiglia, Torino, Edizioni di Comunità, 1999
Ricci Sargentini M. Le nuove famiglie Figli dei gay, centomila in Italia. La legge riconosce…., Corriere della sera. it, 5 maggio 2008, Pagina Cronaca.