Padre e tossicodipendenza

Tossicodipendenze: puntare sulle competenze paterne

Di Monica Aitanga Leva

La maggior parte degli autori che si sono occupati di tossicodipendenze ha posto il focus prevalentemente sulla relazione diadica madre-figlio, convergendo sulla descrizione di una madre “ipercoinvolta”, centrata su modalità protettivo-accuditive e di controllo e su quella, non di rado complementare, di un padre “assente”, periferico, passivo. Vengono anche sottolineati comportamenti di “squalifica” della madre nei confronti del padre, con conseguente compromissione della sua funzione educativa: il padre, apparendo al figlio disabilitato e impotente, non sarebbe in grado di favorire il distacco dall’area materna, da quelle parti immature e dipendenti ben simbolizzate dalla tossicodipendenza.

Volendo tentare di offrire un senso più compiuto alle ragioni della latitanza paterna quali sono, allora, le caratteristiche personali, storiche e relazionali del padre definito “periferico”? E’ possibile smuovere questa figura da una condizione di pericoloso immobilismo e utilizzarla come risorsa?

Attualmente, viene attribuito un peso sempre maggiore nell’avvio dei processi patogenetici legati alla tossicodipendenza, alla comprensione delle componenti insoddisfacenti della relazione che ciascuno dei genitori ha avuto con la famiglia di origine nell’infanzia e nell’adolescenza. Questo non deve indurre a trascurare l’influenza del contesto socio-culturale e storico,  che vede i padri alle prese con le difficoltà di mutazione del loro ruolo affettivo che contraddistingue la nostra epoca.

E’, quindi, senz’altro possibile affermare che i padri dei tossicodipendenti risentano sia di una labilità “istituzionalizzata” della loro funzione, sia di una pesante eredità personale rappresentata, molto spesso, da un vuoto nella relazione con il proprio padre, che lo rende non soltanto culturalmente inadeguati, ma anche e soprattutto mutilati affettivamente. Clinicamente, infatti, è tipica l’osservazione di come il padre del tossicodipendente sia stato precocemente adultizzato dalla madre, oppure sia orfano di padre in giovane età o, comunque, abbia sofferto per la manifesta incompetenza di quest’ultimo per i motivi più disparati: malattie, invalidità, alcolismo, immaturità, irresponsabilità, etc. e dunque costretto, suo malgrado, a vicariarne le funzioni in seno alla famiglia. La presenza di una funzione paterna di fatto inconsistente o svalorizzante, oltre alla prematura assunzione di funzioni adulte, si accompagna ricorrentemente a una modalità di rapporto emotivamente inadeguata, spesso rigida e distaccata sin dalla prima infanzia.

Diviene allora comprensibile come il bagaglio, da un lato dei bisogni insoddisfatti e dall’altro delle modalità apprese per la gratificazione di altre necessità, possa condizionare tanto la scelta del partner che i futuri sviluppi delle relazioni familiari. I dati statistici rivelano uno scarso investimento coniugale del padre a fronte di una elevata percentuale di invischiamento con la famiglia materna, nella quale sembra ricercare un accudimento sostitutivo a causa del troppo precoce distacco dai suoi legami di parentela. In maniera del tutto speculare, la madre del tossicodipendente appare incapace di prendersi realmente cura del figlio, trovandosi ancora impegnata nel legittimare la propria funzione adulta in rapporto alla famiglia di origine.

Questo tipico incastro esita frequentemente in una delega dei compiti e delle responsabilità genitoriali, generando una sorta di ripetizione automatica di relazioni affettivamente carenti da una generazione all’altra, in un intreccio in cui i membri dell’ultima generazione vengono a trovarsi potenzialmente a rischio. L’esperienza deprivante vissuta nella propria famiglia di origine, l’intempestiva adultizzazione e la negazione delle emozioni connesse, impediscono al padre di testimoniare in favore del figlio e delle sue esigenze di crescita, facendo sì che il suo sguardo sia rivolto altrove. La perifericità del padre risulta così patogena, non tanto in sé, quanto perché contribuisce all’occultamento delle carenze insite nella relazione madre-figlio, in particolare laddove sono mancate le funzioni di ascolto e di rispecchiamento emotivo di quest’ultimo.

Sebbene anche la relazione padre-figlio, nel comportamento tossicomane, conservi una quota marcata di vuoto e di inconsistenza, questa risulta, generalmente, più visibile, e, dunque, meno occultabile di quella materna. Se la tossicomania può essere rappresentata come l’esito, a livello individuale, di un disagio che si è sviluppato all’interno di un gruppo, come tale può essere compreso e trattato soltanto considerando la complessa rete di legami e di condizionamenti che lo sostengono. La terapia familiare appare, a mio parere, in tal senso elettiva, in quanto, abbracciando un punto di vista sistemico-relazionale, tende a considerare il contesto ambientale in modo complesso, includendo tutti i personaggi della scena familiare, con particolare riguardo verso il padre: il miglior percorso terapeutico appare quello che lo può includere a pieno titolo, consentendogli di ritrovare memoria delle proprie sofferenze ed elaborarle.

Successivamente, se introdotto nella relazione madre-figlio, egli assume nei confronti di quest’ultimo una fondamentale funzione di sostegno; può avere una “funzione di protezione” rispetto alla qualità di attaccamento del figlio e rappresentare una sorta di modello “compensativo” rispetto alla madre.

La funzione paterna di “argine” appare ancor più fondamentale nel periodo adolescenziale e/o postadolescenziale ed esiste un’evidenza clinica di come il suo recupero, o consolidamento, fungano da fattori protettivi nella transizione da occasionali forme di sperimentazione di sostanze stupefacenti all’assunzione stabile. Persino l’ostilità  che spesso si osserva tra padre e figlio può favorire, se ben incanalata, spunti evolutivi e di crescita che possono esitare in uno scambio paritetico.

Nel corso di un trattamento terapeutico mirato, dunque, la riabilitazione e il rafforzamento delle competenze paterne, quando possibile, costituiscono la mossa vincente nella direzione di un cambiamento in tutela, in primis, delle esigenze del figlio, ma rappresentano anche un potente meccanismo di trasformazione delle relazioni all’interno dell’intero sistema familiare.

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